RECENSIONI
Memoria e comunicazione
di Giuseppe Burgio
“…mi resi conto, sempre più chiaramente, che l'arte non è una questione di elementi formali, ma di un desiderio (= contenuto) interiore che determina profondamente la forma” (W. Kandinsky, Ruckblik, Berlino 1913).
Al visitatore che si accinge a fruire l'opera qui esposta di Tanina Cuccia, suggerisco di raccogliersi intorno al significato di memoria e comunicazione.
Il tema, l'icona, viene proposto sotto forma di ricordo. Di una esperienza prima di tutto: le scoperte durante il restauro di icone, l'interesse che queste hanno suscitato, la successiva attività di iconografa che in modo naturale ne è scaturita.
L'icona è preghiera, atto di fede; ma anche identità culturale, appartenenza ad una comunità e condivisione profonda dei suoi riti.
E' ricerca del bello, è forma e colore che veicolano una spiritualità altrimenti incomunicabile. Ma l'iconografia impone una tecnica, un canone rigoroso; non ammette trasgressioni o confronti dialettici. Poiché sulle immagini sacre qui presentate irrompono, invece, dubbi, nuove conoscenze e sperimentazioni, i quadri in mostra non sono pittura di icone ma di ricordi.
Le nuove conoscenze traggono origine dall'arte e dalla ricerca delle avanguardie storiche; sono i piani-luce che intersecano e, a volte, stravolgono quelle immagini-ricordo e derivano dalla volontà di interferire con esse, apportando nuovi contenuti. Questi acquistano pregio nella sperimentazione tecnica, nella scomposizione formale e materiale di quegli oggetti-storia: con un metodo che chiaramente presuppone l'esperienza didattica. Al primo nucleo emozionale di riferimento si aggiunge, dunque, un bisogno di comunicare.
L' Artista evoca e spiega, ricorda e racconta.
Che cosa?
Una Madonna porta in grembo “l'Incontenibile” (Palinsesto, 2004), ma il supporto ha anch'esso molto da dire e lo fa senza invadere il significato spirituale del Mistero, ma semplicemente aggiungendo, mediante i ricordi dell'artista, gli strati che la storia ha depositato.
Alcuni Santi Guerrieri (2003, 2005, 2006) ripropongono la lotta tra bene e male, ma non riescono a risolvere la contraddizione dei termini guerriero-santo. Possono tuttalpiù comunicarci qualche dubbio. Un ripensamento. Forse?
Qui il tempo viaggia sull'onda leggera della malinconia, lasciando cadere l'interrogativo per volgere lo sguardo alla assoluta bellezza dei colori e delle forme, alla sorprendente attualità e versatilità della retta diagonale capace, ieri come oggi, di organizzare la composizione del quadro, conferendogli ritmo e vita; o inserendo i piani-colore (2003) che ricordano lo spazio fatto di sola luce e senza oggetti di Larionov; o, infine, trasformando Santo e Mostro in forme astratte, caotiche in una strutturata composizione costruttivista.
Un Cristo-Dio e un Cristo-Uomo, la Sindone, dove, una volta riposto il problema della fede (“Credo nonostante i miracoli”), viene riproposto simbolicamente l'incontro fra umano e divino e, concretamente, quello fra l'arte dell'icona con quella astratta del XX secolo.
Sono testimonianze e interferenze di piani, colori e luce, collocate ai lati del quadro, stese sopra ritrovamenti di tavole allungate secondo la direzione delle venature e assemblate. L'opera diventa così somma di più reperti ove si incontrano brani di colori, il vuoto del fondo, la trama rivelata del supporto e delle stratificazioni della storia.
Un Angelo, un Arcangelo, la dissezione di un Angelo (Empireo, 2003; Arcangelo, 2004; Creatura angelica, 2006) proponendo il soggetto per antonomasia della rarefazione, lo fa contrapponendolo alla concretezza della materia e alla didascalicità del procedimento tecnico. La materia viene cioè esibita nei suoi vari stati ( pigmenti, mecca, legno, lamiera); il tempo ci consegna le idee attraverso l'epifania di forme e colori sui supporti materici in trasformazione; il brano pittorico ci conduce al contenuto (il desiderio di Kandinsky) dell'arte. La forma e i colori sono il frutto di quel desiderio che, se per Kandinsky era la certezza dell'avvento di un'era dello spirito, per l'arte di T.C., avvenuto ormai il disincanto, è certezza di fede e di dubbio insieme.