Sì, per sorprendere, lì, a Venezia il costume nell'immediatezza pittoresca e piena di carattere, ci spiega il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese.
Vienna, Dresda, Varsavia, Torino, Varese, Parigi, Gorizia: in Venezia.
Antonio Canal, detto Canaletto (1697-1768), prospettico eccellente, ritraeva in tele terse e vibranti di luce la Piazza S. Marco, suntuosa e affollata, il Canal Grande, il Palazzo Ducale, la Piazzetta, S. Maria della Salute, l'isola di S. Giorgio Maggiore, la Scuola di S. Marco con le intarsiate architetture lombardesche, e i canali spersi e i rii silenziosi; e in quei quadri - fa notare Battaglia La Terra Borgese -, animati da gustose macchiette, fissava l'anima esterna della Venezia del Settecento, nella vibrazione della sua atmosfera dorata e senza veli.
Il suo discepolo e nipote Bernardo Bellotto (1720-1780) si faceva una reputazione europea come vedutista e pittore di architetture, lavorava applaudito a Vienna, a Dresda, a Varsavia, e sulle sue nitide vedute di piazze barocche o di sobborghi di Torino, di Varese o di città nordiche, stendeva magnifici cieli nuvolosi, dai riflessi melanconici.
Francesco Guardi, veneziano anche lui (1712-1793), faceva disgelare e tremolare nell'iride di mille rifrazioni colorate e luminose la Venezia senza fremito del Canaletto, rappresentando, in piccoli quadri d'una frettolosità pungente, vedute lagunari, feste, processioni e regate, angoli monumentali o pittoreschi della strana città, oppure addentrandosi nel ridotto, fra maschere e domino dai colori cangianti, o nel parlatorio delle monache, mentre le novizie ricevono alla grata le amiche in guardinfante ed assistono ad una rappresentazione dei burattini. Il Guardi, personalissimo, artista d'impressione e d'immediatezza, era capace, in pieno Settecento (così lontano dalla natura), di affrontare l'immensità desolata del mare, di dipingere con i grigi e turchesi torbidi la piatta Laguna del Museo Poldi Pezzoli, piccolo capolavoro in cui senti l'ansia dell'immensità e del crepuscolo.
E Pietro Falca? detto LONGHI (1702-1785), spesso negligente nel disegnare e nel dipingere, ma sempre gustoso nella bonomia maliziosa della visione, dedicava il suo pennello a narrarci la vita che fremeva, pettegolava, cinguettava ai tempi del Gozzi e del Goldoni, in quelle case, in quelle botteghe, in quei palazzi decaduti, in quelle calli, in quei ridotti, mentre Venezia era piena di parrucche, di guardinfanti e di mascherine,
E nel ritratto, prima che salisse a grande fama Alessandro Longhi, figlio di Pietro Falca (1733-1813), colse onori Rosalba Carriera (1675-1757), autrice di folle con delicati busti a pastello, e di gentildonne tutte cipria, di nastri e moine, incastrati in zuccheriere o in tabacchiere, o cinti da una sottile ghirlanda dorata, dal frastaglio rococò. Fu acclamata a Venezia, a Parigi, a Gorizia e a Vienna. Dopo d'aver veduto e dipinto tanta seta e tanto trucco; dedicando al piacere di una aristocrazia spensierata il suo pastello, tutto velature chiare e crema di rose, la povera e gentile pittrice veneziana divenne cieca...
Chiude così questa passeggiata nella Venezia settecentesca, Paolo Battaglia La Terra Borgese.