Ascolto assorto i suoni che mi raggiungono qui nella mia casa palermitana - il cinguettio degli uccelli e le voci dei bambini che giocano nel giardino; e, alla mia vista, in fondo, si offrono tantissime pecore al pascolo- e cerco di afferrare il senso di quegli eventi bellici lontani. Sulle pianure dell'Ucraina due armate immense hanno combattuto per un temporaneo possesso, e ora contano i morti e i feriti. La nave di Emergency salva 55 migranti partiti dalla Libia.
Per un idealista che rimanga consapevole dell'ambiente che lo circonda, vi sono dei fatti che, sebbene meno brutali, sono anche più delusivi. La guerra non è sempre su di noi: ma la povertà, e troppe disperanti prove dell'ingiustizia e della crudeltà umana, sì. Anche più difficile da scontare è l'universale spettacolo dell'insensibilità. Io credo che essa sia una malattia - letteralmente: una sclerosi - di origine endocrina: ma dobbiamo ammettere che è allo stato endemico, radicata in milioni di nostri simili. Ma colpisce a caso, e non è un carattere di classe, e neppure nazionale o razziale. L'insensibilità al bello e al vero, alla bontà e alla gloria, si trova negli uffici e nelle scuole non meno che nei tuguri o nei carri ferroviari. Ma se non possiamo disconoscere la presenza di questo male, non dobbiamo inferirne la realtà in senso assoluto. Dobbiamo affermare con Platone che l'ideale è il vero. L'ideale può manifestarsi in modo imperfetto e intermittente, ma la sola attività razionale nella quale possiamo impegnarci, e che può giustificare la nostra esistenza, è di sforzarci ogni giorno di fare dell'ideale una realtà. Platone pensava che solo investendo gli uomini più saggi del potere assoluto, l'ideale potesse farsi reale; e il suo sistema educativo è anzitutto pensato per produrre degli uomini saggi. Ma egli stesso ammetteva poi che il suo filosofo-reggitore, allo scopo di mettere in pratica il suo ideale, avrebbe fatto ricorso a misure affatto tiranni che, come il bandire tutti i cittadini sopra i dieci anni per ricominciare con i restanti bambini liberi dalle abitudini e dalle maniere dei loro genitori. Misure altrettanto drastiche sono state adottate dai moderni stati autoritari (la collettivizzazione dell'agricoltura in Russia, per esempio) ma solo sotto la pressione di inesorabili forze economiche, e non per consenso democratico.
Tutto ciò che può sperare un filosofo democratico, è di trasmettere a un numero sufficiente di concittadini effettivi il proprio idealismo, e persuaderli della verità delle sue idee. I concittadini effettivi sono quelli organizzati in corporazioni o associazioni con fini produttivi, e nel nostro caso particolare, il corpo dei maestri e degli amministratori della scuola. Se in questo corpo cambierà il pensiero, seguirà inevitabilmente un mutamento nella pratica; e la loro prassi reagirà sull'intero corpo della comunità. Come rapidamente ed efficacemente un tal processo possa attuarsi, trattandosi di un processo educativo, si è visto nella politica autoritaria dell'educazione attuata in Russia e nella Germania di Hitler. Se in un primo momento una rivoluzione può essere difesa solo con la forza, attraverso mezzi educativi in dieci anni sarà fondata sulla persuasione, e in venti sarà diventata una tradizione inconscia. Ne consegue che una educazione democratica è la sola garanzia di una rivoluzione democratica; e la sola rivoluzione necessaria è quella che introduca dei metodi democratici nell'educazione.
La difficoltà non è di conciliare idealismo e realtà, teoria e pratica; ma la disciplina con la libertà, l'ordine con la democrazia. La natura non rinnega le proprie leggi, ma mostra in esse una libertà perfetta. Conformarsi a tale libertà dev'essere lo scopo di ogni società razionale, perché gli esseri umani sono parte della natura e non avvertono l'oppressione delle leggi che la natura impone alla loro individualità: la legge che li condanna a respirare, a mangiare una certa quantità di cibo secondo certe proporzioni chimiche, a dormire per un certo periodo di tempo. Il problema è di estendere queste leggi al nostro corpo politico, in modo che anche esso viva secondo un ritmo naturale e un equilibrio simbiotico. Un ordine naturale nell'educazione può condurre con successo a questa armonia individuale e sociale.
Si potrà obiettare che un ordine naturale non basta perchè l'uomo aspira a un ordine trascendentale, o la sua esistenza è vana. Non credo d'aver detto nulla contro una simile necessità; anzi, tutto quello che ho detto implica una corrispondenza ben definita tra il dominio del trascendentale e quello dei fenomeni.
Per chiarire del tutto il mio pensiero citerò un passo da una lettera che Rabindranath Tagore scrisse a un missionario che voleva andare in India: «Ho una cosa sola da dire, ed è questa: non cercate sempre di predicare la vostra dottrina, ma dedicatevi all'amore. Il vostro pensiero occidentale è troppo preso dall'idea della conquista e del possesso; il vostro inveterato bisogno di proselitismo è una sua forma. Cristo non predicò mai un dogma o una dottrina, predicò l'amore di Dio. Lo scopo di un Cristiano dev'essere di assomigliare a Cristo, non a un servo che cerchi di reclutare altri servi per il suo padrone ... Predicare la vostra dottrina non è un sacrificio, ma un indulgere a un lusso assai più pericoloso del lusso della vita materiale. Ciò alimenta nella vostra mente l'illusione che fate il vostro dovere, che siete più saggi e migliori dei vostri simili. Ma la vera predicazione consiste nell'essere perfetti, e ciò si raggiunge con la dolcezza, l'amore, la dedizione. Se vi sentite forti del vostro orgoglio di razza, di setta, di superiorità personale, è inutile che cerchiate di fare del bene agli altri. Essi respingeranno il vostro dono, o anche se lo accetteranno non ne avranno alcun beneficio morale, e ne vedrete esempi ogni giorno in India. Sul piano spirituale, voi potete fare del bene finché siete buono. Non potrete predicare la Cristianità della setta Cristiana finché non sarete simili a Cristo; e allora non predicherete più il Cristianesimo ma, come Cristo, l'amore di Dio ».
Ciò che vale per il missionario che vuole illuminare gli indigeni, vale per il maestro che traccia i suoi progetti sul bambino innocente. Sul piano spirituale, il maestro non può insegnare il Cristianesimo; può solo essere un Cristiano, e insegnare l'amor di Dio. Egli può fare ciò in virtù di quella conoscenza interna che lo rende capace di distinguere i valori - intellettuali, morali o estetici - che “trascendono” il mondo fenomenico. Non riesco a concepire come il maestro, e quindi l'allievo, possano acquistare tale conoscenza interna se non attraverso un processo di individuazione e di integrazione sociale. E il processo d'integrazione consiste in gran parte nell'evitare le attitudini mentali proprie del didatticismo. Nella morale, nell'arte, nella società, la configurazione deve essere afferrata con fresca, nascente sensibilità, oppure lo schema uccide la vita che essa contiene.
Possiamo soltanto diventare sempre più e sempre più particolarmente coscienti di quei valori (educazione attraverso l’arte al valore intellettuale, morale e estetico-morale) educando la facoltà della percezione affinché essa acquisti la qualità di una coscienza universale dei valori. In accordo con i tratti predominanti della sua disposizione e del suo temperamento, ogni individuo, come risultato della sua consapevolezza educata, o intima, troverà una diversa configurazione per la propria esperienza. Egli costruirà di conseguenza la sua propria visione del mondo, la Weltanschanung del suo tipo.
Possiamo ricorrere alla fraseologia dello Jung per descrivere tali fondamentali attitudini, ma in realtà abbiamo bisogno di una terminologia più generale per discutere degli aspetti etici della individualità. La serie usate da Eduard Spranger, per esempio, è forse più conveniente.
Lo Spranger distingue sei tipi o individualità di base: teoretica, economica, estetica, sociale, politica e religiosa. È lontano dalle mie intenzioni ritornare su questo terreno; ma è indubbio che i tipi dello Spranger possono essere coordinati a quelli dello Jung, e come questi devono considerarsi soccorsi artificiosi per facilitare la discussione piuttosto che categorie fisse e isolate. In particolare, ci permettono di discutere il rapporto tra individuo e morale collettiva, e la possibilità di una gerarchia di valori. Non tratterò di questi problemi, non perché non mi interessino, ma perché la valutazione del valore sociale relativo delle attitudini teoretiche e sociali, economiche e politiche, estetiche e religiose è il compito di un filosofo della storia, come un Tocqueville, un Burckhardt, uno Spengler, un Croce. Non mi nascondo che una simile valutazione della lezione storica, ove ne fossi capace, mi troverebbe dalla parte del Burckhardt, per il quale i soli fattori storici costanti erano i fattori estetici. Gli stati sorgono, fioriscono, decadono. Le religioni, se pure non scompaiono, si trasformano discostandosi dal pensiero dei loro fondatori e apostoli. Ma l'arte rimane, permanente e indistruttibile, e tuttavia sempre libera e, nelle sue diramazioni, attiva ed espansiva. Questa espressione spontanea è inerente alla vita; che collettivamente, e individualmente, viviamo secondo un disegno inerente e in sviluppo: con le parole di Goethe «geprägte Form, die lebend sich entwickelt».
Perciò se un tipo deve considerarsi ideale, è quello dell'artista. E visto che non esiste un tipo «artistico»; ogni tipo ha la sua attitudine artistica (o estetica), i suoi momenti di sviluppo spontaneo, di attività creativa. Ogni uomo è un genere speciale di artista, e nella sua attività creativa, gioco o lavoro che sia (e in una società naturale non può esservi distinzione tra la psicologia del lavoro e quella del gioco) egli fa più che esprimersi: manifesta la forma che la nostra vita comune, nel suo dispiegarsi, può assumere.
*critico d’arte