Federico Ferrarini

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Pittori

I contenuti qui di seguito riportati, sono a cura esclusiva dell'artista

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Federico Ferrarini Data di nascita: 16/06/1976 - VR Indirizzo: San Pietro in Cariano, Tel.: 349 4006044 – 327 1652859 info@federicoferrarini.com – www.federicoferrarini.com STUDI ed ESPERIENZE PROFESSIONALI: Dopo aver conseguito il diploma artistico frequenta le Accademie di Bologna e Venezia; importanti commissioni lo convincono a iniziare a lavorare prima di terminare gli studi. Tra le esperienze più significative degli ultimi tre anni sono da segnalare: Mostre personali: - Anno 2006, “Punto di Equilibrio”, concessionarie SAAB, Veneto, Gianni Sandri: Personale per la casa automobilistica Svedese SAAB; da questa collaborazione nasce nell'artista l'idea di affiancare, o meglio gemellare, parte della sua arte a progetti di comunicazione commerciale. - Anno 2005/2008, Varie sedi in Europa: Collaborazione con YAMAMAY e creazione di “Figure simbolo psico-evocative” fra le quali “Solletico”, figura femminile utilizzata dalla società come comunicazione visual nei più importanti aeroporti italiani ed esteri. - Anno 2006, “Mandala searching”, Piazza Unità d'Italia, Rieti, Barbara Pavan. - Anno 2007, Personale intitolata “Matrici” in collaborazione con Banca Sella: Mostra itinerante. - Anno 2008, “Bacco Style”, Barchessa Rambaldi, Bardolino, Daniele Liguori - Anno 2008, “Il Rituale delle Fonti”, Galleria ImmagineColore, Genova, Loredana Trestin - Esposizione permanente presso la Galleria d'arte contemporanea Immaginecolore a Sanremo - Anno 2009, “Playa Experiment”, Sala d'exposicions, Formentera. Mostre collettive: -Anno 2005, Mostra allestita presso la Chamber of Commerce of Baltimore nel Maryland (USA) in cui espone lavori giganteschi. - Anno 2006, “Trasformare”, Albissola Marina (SV), Maurizio Cocchi e Alessandra Panaro. - Anno 2007, “Crocevia”, Convento di Santa Croce, Sant'Anatolia di Narco, Barbara Pavan. Mostre Internazionali: - Esposizione presso il Liu Hausu Arte Museum di Shanghai. Opere realizzate per il Lions Club “Spotorno-Noli-Bergeggi-Vezzi Portio” e l'Associazione Internazionale “Amitiè Sans Frontiéres” CRTITICA DOTT.SSA DANIELA PALAZZOLI L’ARTISTA E LA QUADRATURA DEL CERCHIO COL MONDO Daniela Palazzoli In ‘Presumere Arte’, una delle tele prèt à porter della serie cm. 40 x 40 create da Federico Ferrarini nel 2008, egli ci propone la sua idea dell’artista come quella di un giocoliere divertito ed irridente, intento a forgiare una propria idea del mondo, a partire da invenzioni e variazioni, che alterano la forma di un cerchio. I suoi interventi negano la perfezione della forma; aprono la geometria, o improvvisano divertimenti sul suo perimetro, o anche aggiungono dei grumi materici che propongono fisicità e resistenza oggettuale alla linearità dei segno. Il suo artista-jolly non occupa il centro del dipinto ma si estende lungo la diagonale destra del quadro. Sulla sinistra troviamo una distesa materica di grumi, di frammenti, di residui di esplosioni resi con materia acrilica al calore bianco, che evoca gli effetti di un grande bang primordiale aggiornato, tipico di un mondo che offre opportunità infinite, ma temporanee e frammentarie. A noi piace pensare che l’atteggiamento di Ferrarini è quello di un rapporto arte-mondo che promette offerte più che sofferenze dalle imperfezioni del mondo“ – e difatti mentre agisce il suo artista sorride – poiché, presa come opportunità, la parte mezza vuota di questo bicchiere-mondo (anche mezzo pieno) diventa la molla che fornisce l’energia, la curiosità, la voglia di vivere e il bisogno di fare e di trasformare da cui nasce l’arte. Da un concetto di questo genere si genera un processo praticamente inesauribile in cui l’artista, prima si confronta con una utopia di perfezione (il cerchio), e poi si adopera per renderla più simile a come stanno veramente le cose (la frammentazione, lo stato di precarietà conseguente alle continue trasformazioni del mondo attuale), per tornare infine, in modo positivo a ripensare il modello di partenza e trarne nuova linfa. Uno cento mille atelier è il suo motto per descrivere la voracità della sua immaginazione modellatrice di fronte alle cose, dalle più semplici e umili alle più importanti. Il suo percorso si muove fra temi di elezione e l’esplorazione di tecniche e materiali inediti che promettono possibilità percettive e di contatto inaspettate e stimolanti. Fra i soggetti, il paesaggio – come nella serie Urbe-evocativa - diventa un argomento esistenziale importante: la città è un grande stimolo a ripensare sia lo spazio che l’organizzazione della società in cui viviamo. In essa, l’elevazione e lo sviluppo in altezza delle abitazioni giocano un ruolo significativo rispetto alla linea dell’orizzonte e ai profili bassi, e si sposa con le atmosfere psicologiche che la città sollecita sul piano degli incontri umani e delle opportunità sociali. Talvolta l’essere umano, l’uomo e la donna, si prestano al gioco a nascondino che consente all’artista di divenire poeta, mago e demiurgo evocando la creazione attraverso l’unione degli opposti e la promessa dell’amore. Più spesso però Ferrarini sembra preferire un approccio meno circostanziato e di tipo più universale, come quando , invece di diffondersi in esperienze narrative e descrittive specifiche, asseconda il piacere puro di esplosioni senza contenuto immediato, da fuochi d’artificio, - come nelle serie painting-jewels – che si effondono in uno spettacolo di segni, materie, colori, slanciandosi verso il perimetro dell’opera. Già in alcune importanti correnti dell’arte italiana del dopoguerra , ed in particolare nello Spazialismo e nell’Arte Nucleare, l’estroversione e la solarità dei mondi del Mediterraneo avevano improvvisato - allora anche come simbolo della rinascita dalle ceneri e dalle macerie di una guerra - lo spettacolo della pittura come DONO che – senza bisogno di un soggetto, e di una figurazione naturalistica - evocava dinamismo e gioia di vivere. Ora Ferrarini propone le sue opere basate su vortici e strutture ritmiche concentrate in evoluzioni piacevoli come ballerini intenti in una danza, come manifestazione di una sorta di naturale empatia fra l’essere umano e il mondo. Egli aggiunge a quegli sfoghi fisici – giustificati dal paragone col mondo scientifico e con le grandi scoperte dei regni subatomici e delle conquiste dello spazio, che hanno segnato quel periodo - una dimensione introspettiva, di tipo psicologico e di ricerca di una universalità quasi mistica. Come dicevamo, dopo che l’emozione ha generato l’azione da cui nasce il dipinto, l’artista torna ad interrogarsi sul suo rapporto col mondo, sulle proprie aspettative, e su quanto di vero vi sia nella concezione idealizzata dell’universo come una realtà perfetta e a tutto tondo in cui tutto funziona a menadito. Egli infatti non dimentica che sia lui che noi tutti dobbiamo sempre fare i conti sia con una realtà di fondo che con una società attuale in continua grande trasformazione, che talvolta ci portano anche a provare un senso di precarietà e di ansia. Se si vuole coinvolgere l’altro, non basta il sogno di una perfezione astratta. Vale di più entrare nel vivo delle cose, compromettersi con la fisicità dei fatti e con le resistenze e gli imprevisti offerti dalle sperimentazioni materiali. Non è un caso quindi che Ferrarini sia un grande sperimentatore di tecniche, di materiali vecchi e nuovi, e di combinazioni di lavorazioni che producono un effetto e delle impressioni sensoriali notevoli. Mentre egli usa spesso i colori acrilici - che gli consentono di lavorare in velocità quando si tratta di realizzare di getto un’idea, salvando la spontaneità e l‘immediatezza dei sentimenti da cui nasce l’impulso espressivo -, ha anche messo a punto un’ampia gamma di invenzioni materiche e processi chimici che ottengono nuovi effetti visivi e danno ai quadri la patina di una situazione vissuta. Il nostro rapporto col dipinto si trasforma da un f

RECENSIONI

In ‘Presumere arte’, una delle tele prèt à porter della serie cm. 40 x 40create da Federico Ferrarini nel 2008, egli ci propone la sua idea dell’artista come quella di un giocoliere divertito ed irridente, intento a forgiare una propria idea del mondo, a partire da invenzioni e variazioni, che alterano la forma di un cerchio. I suoi interventi negano la perfezione della forma; aprono la geometria, o improvvisano divertimenti sul suo perimetro, o anche aggiungono dei grumi materici che propongono fisicità e resistenza oggettuale alla linearità dei segno. Il suo artista-jolly non occupa il centro del dipinto ma si estende lungo la diagonale destra del quadro. Sulla sinistra troviamo una distesa materica di grumi, di frammenti, di residui di esplosioni resi con materia acrilica al calore bianco, che evoca gli effetti di un grande bang primordiale aggiornato, tipico di un mondo che offre opportunità infinite, ma temporanee e frammentarie. A noi piace pensare che l’atteggiamento di Ferrarini è quello di un rapporto arte-mondo che promette offerte più che sofferenze dalle imperfezioni del mondo – e difatti mentre agisce il suo artista sorride – poiché, presa come opportunità, la parte mezza vuota di questo bicchiere-mondo (anche mezzo pieno) diventa la molla che fornisce l’energia, la curiosità, la voglia di vivere e il bisogno di fare e di trasformare da cui nasce l’arte. Da un concetto di questo genere si genera un processo praticamente inesauribile in cui l’artista, prima si confronta con una utopia di perfezione (il cerchio), e poi si adopera per renderla più simile a come stanno veramente le cose (la frammentazione, lo stato di precarietà conseguente alle continue trasformazioni del mondo attuale), per tornare infine, in modo positivo a ripensare il modello di partenza e trarne nuova linfa. Uno cento mille atelier è il suo motto per descrivere la voracità della sua immaginazione modellatrice di fronte alle cose, dalle più semplici e umili alle più importanti. Il suo percorso si muove fra temi di elezione e l’esplorazione di tecniche e materiali inediti che promettono possibilità percettive e di contatto inaspettate e stimolanti. Fra i soggetti, il paesaggio – come nella serie Urbe-evocativa - diventa un argomento esistenziale importante: la città è un grande stimolo a ripensare sia lo spazio che l’organizzazione della società in cui viviamo. In essa, l’elevazione e lo sviluppo in altezza delle abitazioni giocano un ruolo significativo rispetto alla linea dell’orizzonte e ai profili bassi, e si sposa con le atmosfere psicologiche che la città sollecita sul piano degli incontri umani e delle opportunità sociali. Talvolta l’essere umano, l’uomo e la donna, si prestano al gioco a nascondino che consente all’artista di divenire poeta, mago e demiurgo evocando la creazione attraverso l’unione degli opposti e la promessa dell’amore. Più spesso però Ferrarini sembra preferire un approccio meno circostanziato e di tipo più universale, come quando , invece di diffondersi in esperienze narrative e descrittive specifiche, asseconda il piacere puro di esplosioni senza contenuto immediato, da fuochi d’artificio, - come nelle serie painting-jewels – che si effondono in uno spettacolo di segni, materie, colori, slanciandosi verso il perimetro dell’opera. Già in alcune importanti correnti dell’arte italiana del dopoguerra , ed in particolare nello Spazialismo e nell’Arte Nucleare, l’estroversione e la solarità dei mondi del Mediterraneo avevano improvvisato - allora anche come simbolo della rinascita dalle ceneri e dalle macerie di una guerra - lo spettacolo della pittura come DONO che – senza bisogno di un soggetto, e di una figurazione naturalistica - evocava dinamismo e gioia di vivere. Ora Ferrarini propone le sue opere basate su vortici e strutture ritmiche concentrate in evoluzioni piacevoli come ballerini intenti in una danza, come manifestazione di una sorta di naturale empatia fra l’essere umano e il mondo. Egli aggiunge a quegli sfoghi fisici – giustificati dal paragone col mondo scientifico e con le grandi scoperte dei regni subatomici e delle conquiste dello spazio, che hanno segnato quel periodo - una dimensione introspettiva, di tipo psicologico e di ricerca di una universalità quasi mistica. Come dicevamo, dopo che l’emozione ha generato l’azione da cui nasce il dipinto, l’artista torna ad interrogarsi sul suo rapporto col mondo, sulle proprie aspettative, e su quanto di vero vi sia nella concezione idealizzata dell’universo come una realtà perfetta e a tutto tondo in cui tutto funziona a menadito. Egli infatti non dimentica che sia lui che noi tutti dobbiamo sempre fare i conti sia con una realtà di fondo che con una società attuale in continua grande trasformazione, che talvolta ci portano anche a provare un senso di precarietà e di ansia. Se si vuole coinvolgere l’altro, non basta il sogno di una perfezione astratta. Vale di più entrare nel vivo delle cose, compromettersi con la fisicità dei fatti e con le resistenze e gli imprevisti offerti dalle sperimentazioni materiali. Non è un caso quindi che Ferrarini sia un grande sperimentatore di tecniche, di materiali vecchi e nuovi, e di combinazioni di lavorazioni che producono un effetto e delle impressioni sensoriali notevoli. Mentre egli usa spesso i colori acrilici - che gli consentono di lavorare in velocità quando si tratta di realizzare di getto un’idea, salvando la spontaneità e l‘immediatezza dei sentimenti da cui nasce l’impulso espressivo -, ha anche messo a punto un’ampia gamma di invenzioni materiche e processi chimici che ottengono nuovi effetti visivi e danno ai quadri la patina di una situazione vissuta. Il nostro rapporto col dipinto si trasforma da un fatto mentale in un dialogo a tu per tu, che evoca quasi un rapporto di tipo umano, fra esseri dotati di spessore e di presenza carnale. Questa sensazione di consistenza fisica – che come abbiamo detto non si arresta al fatto percettivo ma crea intorno all’opera il senso di una partecipazione emotiva e di un’atmosfera psichica –rende il quadro un testimone efficace con cui l’osservatore può dialogare, discutere, identificarsi o anche discostarsi , a seconda delle esigenze e delle convinzioni di ognuno. L’importante è che ,attraverso l’artista e la mediazione delle sue opere, anche noi acquisiamo il senso della qualità e dell’importanza di sapere improvvisare e di inventarsi un proprio modo di fare quadrare il cerchio. Daniela Palazzoli Daniela Palazzoli - Nota studiosa e teorica dell'arte contemporanea, si è laureata all'Università degli Studi di Milano e – poco dopo – ha ricoperto il ruolo di insegnante alla facoltà di Architettura (Politecnico Milanese). Dopo aver ottenuto la docenza presso l'Accademia di Belle Arti di Brera (1974) ne è stata anche eletta Direttrice nella seconda metà degli anni ottanta. Storica dell'arte, autrice di testi, ha ricoperto incarichi gestionali alla Triennale di Milano ed ha collaborato, ricoprendo vari ruoli in ambiti editoriali e museali, alla crescita di quella cultura – conservativa ed al contempo propositiva – maturata anche in virtù del suo crescente interesse per il collezionismo d'arte internazionale. Ha raccolto, in un "fondo" che porta il suo nome, oltre 1.500 volumi riguardanti l'evoluzione della fotografia dagli esordi sino agli anni settanta, e che ora, gestito dall'Università di Venezia, è a disposizione di ricercatori e studiosi che possono ritrovare movimenti, gruppi ed autori che hanno attraversato gli oltre 150 anni della storia di questa forma che sin dagli esordi ha spiazzato il mondo della pittura e che invece, dagli anni novanta del novecento, compare sempre più ibridata con la stessa Nel nome stesso di questa importantissima Azienda italiana famosa in tutto il mondo risiede il significato di questa collaborazione. Il nome palindromo, già di per sé invito a diverse letture di ciò che ci circonda, deriva da Bombix Yamamay, forse il

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